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martedì 20 ottobre 2020

STEP #06 - IL SIMBOLO DELL'ODOMETRO

L'odometro di Vitruvio nell'edizione di Cesare Cesariano

La prima traduzione a stampa del De Architectura di Vitruvio è quella che esce dai torchi di Gottardo da Ponte a Como nel 1521, arricchita da un ampio commento e accompagnata da quasi centoventi silografie. Fra le grandi sfide che questo scritto pluridimensionale lancia ai filologi e agli storici dell’arte si stagliano la comparazione tra la versione italiana piuttosto libera (e venata di dialettismi) e l’originale latino già di per sé pieno di problemi filologici e interpretativi e, il rapporto tra le illustrazioni (spesso altrettanto anacronistiche) e la traduzione, rispettivamente il commento e l’originale vitruviano. Accanto a queste questioni, c’è la storia della lunga e complicata realizzazione del progetto editoriale, in modo particolare il fatto che l’‘autore’ Cesare Cesariano (1475-1543) a un certo punto abbandona il suo testo, al mezzo di un contesto arroventato da liti e polemiche, con la conseguenza che, nella parte finale del nono libro e per tutto il decimo, il commento e l’apparato iconografico saranno di mano altrui, cioè eseguiti (o almeno, quanto alle incisioni, commissionati) dai suoi ex-soci e collaboratori Benedetto Giovio e Bono Mauro.



Questa raffigurazione di un odometro terrestre reca due paratesti verbali che sono da collocare su livelli ontologici diversi. Per prima cosa, l’osservatore nota, posta sopra l’incisione propria e tuttavia sempre dentro la cornice, la didascalia “A rota rhedae iter per tympana dimetiri” (“Misurare un percorso dalla ruota di una carrozza, mediante gli ingranaggi”). Certamente brevi ragguagli descrittivi di questo tipo sono reperibili in gran parte del corredo iconografico di cui abbonda il Vitruvio del 1521, ma il secondo paratesto latino, che è piuttosto nascosto, presenta una vera e propria peculiarità: inserite nell’immagine, sopra le teste delle tre passeggere sedute in cocchio, si leggono le due parole staccate 'praeterit' e 'tandem'.

Visto che pare che manchi una spiegazione precisa delle scritte, un lettore libero da pregiudizi non può che vedervi (forse con una certa forzatura) un fumetto in nuce, che si allontana decisamente dal mondo di Vitruvio e dalle sue macchine, e in cambio riproduce una storiella che, con qualche possibile variante, può essere riassunta nel modo seguente: tre nobili donne su una carrozza si annoiano durante un viaggio troppo lungo. Grazie all’odometro attaccato accanto a loro sono al corrente della distanza che hanno già percorso. Una di loro, quella seduta nel mezzo con la bocca storta, chiede un po’ snervata all'uomo a cavallo che guida la carrozza, quanta strada c’è ancora da fare. Ricevuta la risposta, la signora la sintetizza per la compagna che sta alla sua destra che non l’ha potuta sentire, perché stava seduta con le spalle rivolte alla parete esterna del veicolo. Alla rassicurante informazione ‘praeterit’, cioè ‘passa’, quest’ultima replica, sollevata, esclamando ‘tandem’, ‘finalmente’. 

Si noti come il palo che regge il tendone nel mezzo tra le due donne assegna i due interventi chiaramente alle due diverse parlanti, funzionando pertanto a guisa di un balloon. In effetti, pare che le tre passeggere sulla carrozza abbiano sconfitto ogni tedio dovuto al viaggio e sembrano anzi divertirsi, giocando incuriosite con le ruote dentate dell’odometro. Ovviamente il ‘fumetto’ non era gradito a tutti; oppure non a tutti era comprensibile. Ma ciò non toglie che questo sia un esempio che va ad arricchire la preistoria del moderno genere letterario del ‘fumetto’ che, a rigore di cronologia, sarebbe nato soltanto secoli dopo.

L’influente Vitruvio di Fra Giocondo, la prima stampa illustrata del trattato latino, uscita in editio princeps nel 1511 a Venezia, contiene soltanto un’incisione molto semplice che si concentra esclusivamente sui componenti tecnici del meccanismo.



Mentre la prima traduzione tedesca, il Vitruvius Teutsch di Walter Hermann Ryff, pubblicata nel 1548 a Norimberga, ricalca, come in tanti altri casi, l’immagine dell’edizione comasca del 1521, se pure con piccole differenze decisive.


La prima evidenza che colpisce il lettore è che la didascalia superiore non è vergata nella dotta lingua latina, bensì in un tedesco umanistico assai manierato. Nella stessa illustrazione risalta la direzione rovesciata del traino, gli indumenti di foggia tedesca del guidatore a cavallo, l’assenza di ogni rimando agli Sforza e, last but not least, mancano le due parole inserite che rendono ‘praeterit’ e ‘tandem’. Allo stesso tempo non c’è nessun tipo di dialogo tra il cavaliere che sta davanti e la signora: in questa versione, a differenza dell’originale, la signora e il cavaliere né girano la testa l’una verso l'altro né direzionano il loro sguardo.


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